Il 20 Marzo 2018 è stata pubblicata dallo Stanford GSB e da HarperBusiness una ricerca condotta da Jeffrey Pfeffer, con lo scopo di mostrare al mondo la verità riguardo la vita lavorativa del nuovo millennio: lo stress a cui è sottoposta la "nuova" forza-lavoro è talmente alta da causare non solo una perdita della salute lavorativa (con ciò che ne consegue), ma anche una perdita sul frangente della produttività, inserendo l'organizzazione lavorativa in un contesto di doppia perdita.
Le cause che possono portare la persona a non uscire dall'ambiente tossico in cui si trova possono essere molteplici - l'importante è comprendere come agire per rendere l'azienda un ambiente più "a misura d'uomo".
In tutto questo c'entra anche l'Engagement Lavorativo
L'Engagement lavorativo è la propensione del lavoratore ad essere "parte" dell'azienda in cui lavora: lo spirito di sacrificio, quel momento in cui sente di poter investire il suo tempo e la sua mente in qualcosa che darà i suoi frutti.
Ma è così difficile instaurare un buon engagement?
Attualmente l'engagement aziendale è ai minimi: in che modo il lavoratore può sentirsi parte di qualcosa che non sente come sua "filosofia di vita"?
E, di conseguenza, anche la soddisfazione sul lavoro è minima.
L'epoca in cui si è immersi è caratterizzata da instabilità economica, incertezza sul futuro.. sia delle grandi aziende sia, come un onda, del lavoratore.
sempre Pfeffer afferma di vedere stress, licenziamenti o sospensioni, orari di lavoro sempre più lunghi, conflitti famiglia-lavoro e una incredibile insicurezza economica.
"Vedo un posto di lavoro che è diventato spaventosamente disumano":
"I look out at the workplace and I see stress, layoffs, longer hours, work-family conflict, enormous amounts of economic insecurity. I see a workplace that has become shockingly inhumane."
Ma, concretamente, in Italia è così?
Certo, si potrebbe controbattere relativamente al contesto culturale della ricerca, che non essendo Italiana si riferisce primariamente ai contesti di origine.
Tuttavia, l'espansione di multinazionali come provider di servizi anche in Italia - senza l'attuazione di una vera e propria policy e "mission" Italiana - possono portare a scontri di ideologia tra quelle che sono le richieste della sede centrale e la cultura della delegazione nazionale.
La non-integrazione delle due visuali lavorative (quella del provider estero e quella della sede italiana) - così come l'imposizione della visione "centrale" dell'azienda - possono portare a crisi valoriali non indifferenti: non esiste il giusto e lo sbagliato, esiste però la non-valutazione della componente sociale e psicologica del capitale umano.
Quando il "potenziale umano" non è rispettato cosa avviene?
Avviene ciò che si riscontra nei team sottoposti ai cosiddetti leader autoritari: la situazione viene mantenuta fintanto che "serve". La prestazione diminuisce, aumenta la percentuale degli errori e il malessere psico-fisico: per intenderci, è più probabile farsi male, la nostra mente vaga in altri luoghi e su altri desideri e - soprattutto in contesti di medio rischio - farsi male è un attimo.
La persona diventa quindi parte di un circolo vizioso, che fa perdere motivazione sia al singolo, sia all'intero team.
La cultura della gratificazione
La gratificazione lavorativa, attualmente, si basa quasi esclusivamente su incentivi economici e piccoli avanzamenti di carriera. Il denaro, tuttavia, si struttura come un incentivo non direttamente visto come "appagante", lasciando un senso di felicità amaro: non è durevole, è una piccola ricompensa che tuttavia non lascia traccia di quanto svolto.
In ambienti di lavoro sempre più virtuali la pazienza è la virtù dei forti, le gratificazioni lavorative sono estremamente lunghe e - nell'incertezza sociale - non si sa nemmeno se si vedranno: ecco che queste gratificazioni economiche (come i bonus annuali o su percentuale di produzione) si presentano quasi più come un fardello, qualcosa che non ti dice "quanto sei bravo" ma solo "quanto dovrai fare come minimo l'anno dopo".
Ma funziona?
Assolutamente no. Può funzionare quando si parla di piccoli gradini iniziali, ma l'evoluzione della prestazione non è assolutamente riconducibile ad una linea retta che punta verso l'alto, quanto, piuttosto, ad una semi-parabola se si è fortunati.
Che tipo di gratificazione manca, attualmente?
Il contesto attuale è un contesto famelico, che ricerca gratificazione continua.. ma come per le abbuffate, spesso si parla di gratificazioni che non lasciano nulla se non un senso di nausea, un senso di vuoto immediatamente dopo il senso di pienezza.
E' necessario quindi partire anche dalla qualità della gratificazione: deve essere sentita, creduta, sudata. Deve essere una manifestazione di orgoglio, fosse anche solo a parole.
Spesso ci si dimentica quanta fatica ci sia dietro a qualcosa che viene dato per scontato, giorno dopo giorno, in team a cui sono richieste altissime prestazioni.
Si può e si deve partire da lì. Ricordandosi il valore umano di ciascun componente del gruppo, come portatore della sua specifica esperienza e qualità, e riconoscendo una gratificazione che sia anche solo primariamente relazionale: un ambiente in cui le persone stanno bene insieme, e se lo dicono, è un ambiente più performante e, soprattutto, più felice.
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Dr.ssa Alessandra Colombo
Psicologa del Benessere
alessandracolombopsicologa@gmail.com
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