Spesso è difficile concedersi tempo. Ce ne accorgiamo ogni giorno, nei tempi morti tra il lavoro e altri impegni o tra differenti appuntamenti: quella mezz'ora di "tempo libero" diventa una gabbia da cui è difficile uscirne illesi. Vediamo perchè.
«Sed fugit interea fugit irreparabile tempus»
frase ormai sovra-citata di Virgilio, presa dalle Georgiche, riporta una condizione ormai insita nella nostra cultura da generazioni: il tempo fugge inesorabilmente.
Questa frase tuttavia rimanda anche ad un costrutto culturale tipico delle ultime generazioni che ci hanno visto passare, crescere, generare: non bisogna perdere tempo.
Eccoci qui, quindi, con un tempo morto di 30 minuti tra un impegno e l'altro, a chiederci cosa avremmo potuto fare, cosa dovremmo fare e perché non dovremmo fare invece ciò che vorremmo fare.
Diventa sempre più difficile riuscire a concederci quei 30 minuti, presi dall'irrefrenabile fobia che possa sfuggirci qualcosa di mano. Troppo poco tempo per svolgere ciò che dovremmo fare - raggiungere casa, sistemarla, tornare indietro è infattibile. Andare dal meccanico altrettanto - , appena adeguato a ciò che pensiamo vorremmo fare - forse dovremmo andare in palestra, forse dovremmo studiare, formarci, far fruttare (a Milano si direbbe fatturare)- ma più che sufficiente per fermarci a pensare a noi, al nostro tempo, a ciò che vorremmo sul serio.
Ed ecco che compaiono i sensi di colpa.
Nella società attuale è pressoché impossibile pensare di potersi concedere di fermarsi a prendere un caffè coi colleghi: sebbene in quel preciso istante ci sia un tempo morto, ci vuole davvero un attimo perché nella nostra testa si scateni l'irreparabile flusso di pensieri su quanto stiamo sprecando tempo e quanto siamo inetti nel non "sbatterci" totalmente. Ed ecco che parte la trappola: Nel sistema assoluto dovremmo sfruttare questo tempo per sistemare la casa, l'ufficio, la stanza, magari studiare o formarci in qualche ulteriore certificazione. La nostra mente chiede pietà, siamo oberati di cose a cui pensare, le informazioni entrano ed escono a velocità impressionante e permangono nella memoria unicamente grazie a mille post-it nell'agenda.
Allora pensiamo che in tutto questo potremmo prendere un caffè, magari con i nostri amici di lavoro: saremmo vicini a dove dobbiamo riprendere e ci farebbe sicuramente bene. Tuttavia, come lo spieghiamo agli altri che, ad un certo punto, prendiamo un caffè perché vogliamo e non perché stiamo per collassare dal sonno?
Come spieghiamo che quella pausa non è per fuggire da ciò che stiamo facendo ma per far sì che possiamo farlo ancora meglio?
Forse se questi momenti passassero con la certificazione di team building nessuno si sentirebbe in colpa nell'utilizzarli.
Le trappole del tempo sono molte, molteplici e incredibilmente spiacevoli, perché si annidano tra quelle che sono le nostre paure più profonde, ad esempio risultare dei fannulloni, risultare inefficaci, pigri, o viceversa esausti perché non in grado di dire no ad alcuni impegni che non riusciamo a mantenere.
Darsi tempo può essere un nuovo modo di affrontare ciò che sta sotto, comprendere cosa stiamo cercando e cosa ci impedisce di fare ciò che vorremmo.
Potersi sedere e ascoltar-si in un attimo di auto-consapevolezza è un atto d'amore verso sé stessi, che non implica una perdita di tempo ma, viceversa, un investimento nel futuro:
praticare un ascolto profondo verso di sé, quando si può, aiuta ad avere ben chiare le proprie necessità, i propri bisogni più profondi e chiedersi se il modo in cui stiamo affrontando la giornata ci porta ad essere più in linea con le nostre necessità oppure no.
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Dott.ssa Alessandra Colombo
Psicologa del Benessere
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